Alessandra Barzi
A volte la natura è ad un passo da noi,
ma per raggiungerla dobbiamo varcare un confine.
A volte la natura è ad un passo da noi,
ma per raggiungerci ha dovuto varcare un confine.
In seguito alle restrizioni dettate dalla pandemia ho imparato come molti ad apprezzare gli spazi nei dintorni di casa, nel mio caso il parco del mio quartiere a Milano. Questo spazio è rappresentato in immagini che prediligono situazioni di vuoto e caratterizzate prevalentemente da momenti di luce che ricordano l’intimità delle mura domestiche, lasciando all’osservatore il privilegio di immaginare come questi spazi siano vissuti dalla comunità.
Segregata in casa, senza la possibilità di immergermi in uno spazio naturale più ampio, la recinzione come confine, ho volto lo sguardo verso il microcosmo del mio giardino: muschio profumato, gocce di rugiada, corteccia ruvida e poi fiori, foglie, bambù… Le mani nude hanno gioito nel contatto con la natura e l’occhio ne ha catturato la bellezza. E poi, finalmente libera, una corsa a rivedere il mare…
Confini che non limitano, che non dividono. Che sono frammenti di memoria racchiusi in una scatola, sul confine sottile tra il passato ed il presente. Caleidoscopi di impronte conservate nella coscienza, delimitate da un preciso spazio fisico. Contenitori di ricordi oltre il confine del tempo, in una sottile connessione tra passato e presente. Oggetti inanimati in un contenitore, pronti a ricevere il soffio vitale di uno sguardo: la potenza evocativa del confine tra quel che è stato e quel che è. Nutrimento per quel che sarà.
Fabio Zardetto
I confini sono qualcosa di rigido, di fisico: si è qui o dall’altra parte. Anche il tempo ha un confine, per ogni istante c’è un prima e un dopo; ma nella nostra memoria, meravigliosamente, tutto si comprime e si dilata, si inverte e si sovrappone. E restiamo estasiati nello scoprire che ciò che pensavamo perduto è ritrovato, che ciò che appare realtà forse è il ritorno del passato, nell’emozionarci per frammenti di vita vissuta di chi ci ha preceduto e nell’intuire che forse è tutto un grande sogno.
La funzione della siepe è delimitare fisicamente uno spazio, separare il proprio territorio da quello degli altri, segnare un confine da non oltrepassare neanche con lo sguardo. La siepe è un muro sotto mentite spoglie. Questo modo di marcare il territorio è utilizzato in moltissime zone del mondo. La struttura della siepe è inesistente in natura e deriva dall’attività umana, per questo si somigliano tutte, sono omologate, standardizzate anche nelle misure.
Linee, ombre, tracce sottili che dividono la presenza dall’assenza, l’evanescenza da un timbro di identità, una coscienza rispetto alla tabula rasa dilavata dall’incoscienza delle acque, parametrate al grado zero dell’archetipo, concessivo all’origine del tutto, dei numeri in sequenza, di una, di due, tre o quattro impronte in successione.
Stefano Stocco
«Se guardi nel modo giusto, puoi vedere che tutto il mondo è un giardino»
Frances Hodgson Burnet – The secret Garden
Confini da rispettare, da rompere, da oltrepassare.
Il verde si arrampica sulle case, avvolge i muri, cresce dalle crepe dei marciapiedi e dei balconi; ad ogni stagione sboccia, verdeggia, cade, resiste.
La natura non è solo quella dei grandi parchi, dei paesaggi mozzafiato. Quella che ci circonda rivendica i propri spazi anche negli angoli più nascosti. Nascono dei conflitti, ma trova sempre il modo di prosperare dimostrando una sorprendente tenacia e resistenza alle avversità.
Cos’è un confine?
Può essere una barriera, un limite che non permette di andare oltre, un ostacolo che limita la libertà fisica, di parola, intellettuale e di espressione che, se non viene superato porta inevitabilmente all’isolamento.
Può essere fisico e immateriale. Reale o immaginario. Mentale, culturale, politico, geografico, sociale, economico, simbolico e di genere.
In questo progetto viene rappresentato il confine fisico, osservando l’ambiente della campagna che mi riporta a quando ci trascorrevo gran parte del mio tempo. Tempo che è trascorso veloce e che ha contraddistinto nuovi spazi: quelli delle strade che per molti anni ho percorso con la mia professione. Strade, case, palazzi e cemento che si contrappongono a quell’ infinita quiete che solo il “vuoto” sa creare, sa fermare lo sguardo ed il pensiero.
Per creare le giuste atmosfere ho deciso di scegliere, per le mie fotografie, il colore in contrapposizione al bianco e nero. Questo per mettere in luce le due visioni diverse dell’ambiente: quello “antico” dove era predominante il colore naturale a quello attuale dove il grigio del cemento è interrotto semmai e perlopiù da colori artificiali.
Per questo progetto fotografico mi sono venuti in mente i confini che mia madre mi imponeva da piccolo ed erano quelli della via dove abitavamo.
Si poteva uscire di casa per giocare con gli amici, ma guai ad uscire dalla via……
La via dove sono cresciuto dai 7 anni in poi è una classica via italiana con case degli anni 60 e tutte con le loro cancellate e recinzioni…. già…. altri confini che a noi sembrano normali, ma per un bimbo di 7 anni nato e cresciuto in un terra appena oltre confine, la Svizzera, dove le case raramente hanno recinzioni o delimitazioni, era un ostacolo visivo ed emotivo notevole.
Poi, con l’andar del tempo, ho conosciuto prima i bambini che abitavano in alcune di quelle case e poi i loro genitori ed ho capito che era gente sincera ed affettuosa ed anche quelle barriere sono cadute.
Ma il confine della via è rimasto per molti anni… mia madre mi ha sempre educato a non superare quei confini perché poteva essere pericoloso, per cosa poi non si sa, perché dopo quella via dove sono cresciuto assieme ai miei nuovi amici, c’erano altre vie del tutto uguali, ma sapete come sono le mamme.